La fotografia terapeutica: quando le parole non bastano

Marco Alpeggiani – Foto Giornalista / Insegnante di Yoga & Meditazione / Operatore Ayurvedico / Coach Evolutivo
Nessuna parola potrà mai rappresentare pienamente il sentimento interiore. In circostanze estreme, di solito, le persone rimangono letteralmente senza parole. Questa è la ragione per cui qualunque terapia attuata in loro aiuto, se basata unicamente sull’interazione verbale tra cliente e terapeuta, non sarà mai efficace quanto una comunicazione che includa anche l’uso di rappresentazioni visivo-simboliche in grado di creare un ponte verso l’inconscio, verso quei luoghi in cui le parole non arrivano (e non possono arrivare).
Sul finire dell’800, in un contesto socio-culturale positivista, i fotografi entravano negli ospedali con il compito di “catalogare visivamente” gli aspetti fisiognomici della malattia. Ma alla fine del ventesimo secolo i fotografi indirizzati da spinte sociali decisero di usare il loro strumento non per etichettare ma per celebrare i vissuti dei pazienti. E nello stesso periodo il Dr. Hugh Welch Diamond iniziò ad usare questo strumento come mezzo di cura e testimonianza del progresso delle sue pazienti nel processo creativo individuale.
Uscita dall’ambito puramente psichiatrico, la foto-terapia è diventata una pratica diffusa in campo terapeutico con un’importante distinzione: si definisce PhotoTherapy, infatti, l’utilizzo della fotografia all’interno della relazione clinica, mentre si definisce Therapeutic Photography la fotografia utilizzata dal soggetto come strumento di introspezione e crescita personale.


E’ ormai consolidato come, nell’aiutare i pazienti a rafforzare autostima e amor proprio, nonché a esplorare il modo in cui si presentano agli altri dando un senso alle narrative della loro vita, il terapeuta perderà molte occasioni se non esplorerà anche le capacita foto-creative-emozionali non verbali dei soggetti in questione.
Le tecniche di FotoTerapia, infatti, possono essere usate per riportare alla consapevolezza informazioni dimenticate, sepolte, o da cui le persone si difendono, nel regno del conoscibile e riconoscibile; specialmente quando riguarda di informazioni non verbali di cui sono in possesso e che non possono esprimere appieno con le parole.
Possono far luce su dettagli originariamente registrati come impressioni sensoriali e su eventi di cui si era perduto il ricordo ma la cui importanza, ancora viva, potrebbe non essere riconosciuta fino a quando uno stimolo visivo non aiuta a rendere cosciente tale associazione.
Grazie alle tecniche di FotoTerapia, i pazienti (e il loro terapeuta), dunque, possono ottenere un “quadro più chiaro” della loro vita che vale molto di più delle proverbiali mille parole esplorando campi visivi non convenzionali legati a capacita’ recondite di evoluzione emotiva, terapeutica e processi di auto guarigione individuale e di gruppo.
L’immagine narra una parte di noi. Attraverso le foto personali o attraverso nuove immagini che mi colpiscono o a cui attribuisco un significato particolare, posso raccontarmi in modo diverso, più profondo. Attraverso il racconto delle storie della propria vita è possibile costruire i nessi, i significati personali, i ponti e le incongruenze tra le proprie esperienze vissute, aumentando la consapevolezza rispetto a se stessi e al proprio vissuto.
In contesto terapeutico, la narrazione di sé attraverso l’uso di foto o immagini, permette di esplorare i propri significati da un nuovo punto di vista. L’uso delle immagini infatti favorisce il canale percettivo, permettendo di elaborare lo stesso evento in modo anche completamente diverso, aprendo nuove connessioni e quindi anche un nuovo modo di guardare a sé stessa e al mondo.